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L'Editoriale

NEL CENTENARIO DELLA MORTE di VINCENZO SANTORELLI

(Trivento 6 gennaio 1892 – Bosco Cappuccio 7 ottobre 1915)


Pasquale Vincenzo Santorelli ebbe i natali a Trivento nel giorno dell'Epifania 1892, e gli fu dato perciò il nome di Pasquale, a cui i parenti vollero aggiungere quello di Vincenzo per ricordare il nome del nonno materno. Fin da piccolo rivelò ingegno sveglio, straordinario desiderio di apprendere, animo aperto alle cose più degne della vita. Gli studi primari, iniziati in famiglia sotto la sapiente e severa guida paterna, furono continuati nelle scuole pubbliche. Primo nelle scuole elementari, conservò tale posto di merito anche nel ginnasio vescovile di Trivento. Qui l'insigne e colto vescovo monsignor Carlo Pietropaoli, ammiratore del suo insegno, gli fu largo di consigli e di incoraggiamenti negli studi che più tardi dovevano schiudergli una brillante carriera. Conseguita la licenza ginnasiale a Frosolone, passò al Liceo Cicognini di Prato. In questa nuova scuola ebbe presto ad affermarsi nello studio delle lettere e delle scienze che gli conquistarono affetto e reputazione dei compagni e dei professori, fra i quali ricordiamo il preside Giorni. 

Per ragioni di famiglia si trasferì ad ultimare i suoi studi secondari a Sessa Aurunca in provincia di Caserta. Conseguita la licenza liceale con brillanti voti, tornò di nuovo a Prato chiamato dall'amatissimo preside Giorni per coprire il posto di istitutore in quel Convitto Nazionale. Il noviziato di educatore, benché irto di difficoltà, di penose rinunzie di grandi sacrifici, fu affrontato e superato felicemente. Dopo un anno ottenne il trasferimento nel Collegio nazionale di Arezzo: ciò gli rese più agevoli gli studi universitari per la vicinanza della libera Università di Urbino, ove si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza. 

Senza mai trascurare il dovere di ufficio, ma conciliando questo con quello dei suoi studi superiori nel novembre 1914 conseguì la laurea in legge con il massimo dei voti. 

Una meta era stata raggiunta e l'orizzonte gli si presentava ricco di sogni e di promesse. 

Abituato a lottare e a conquistare ciò in cui credeva, si sentì ben degno di aspirare ad un posto nella magistratura. Fu in questo periodo di preparazione che il turbine della guerra si scatenò furioso sull'Europa facendo presagire scenari di morte. Avrebbe potuto schivare il pericolo, e forse anche il servizio militare, per il raccorciamento di un braccio causatogli da una caduta da bambino: ma non volle perché al suo braccio soccorreva l'ardore della sua anima, e quindi avrebbe saputo lottare per vincere. Inoltre, avendo avuto un diverbio con un suo amico ed essendo stato rimproverato da questi per non essere idoneo alle armi, partì volontario con le schiere dei prodi. Fu a Modena, e da quella Regia Accademia militare usci sottotenente, destinato al 142° fanteria. Dopo breve periodo di licenze in famiglia, con l'animo gaio e nel cuore la dolce visione della mamma, partì per il fronte. Le lettere della mamma, agli amici, ai parenti sono l'espressione più pura della sua grande anima e del suo forte carattere. 

Il 7 ottobre 1915, in un assalto ad una trincea nemica, sul monte Cappuccio, ebbe il fianco squarciato da una granata a mano. La notizia della sua morte suscitò unanime cordoglio in quanti lo conobbero. La sua famiglia fu subissata di telegrammi e lettere provenienti da varie regioni di Italia. La sua salma dal cimitero di guerra di Sagrado fu riportata nel cimitero di Trivento, dove ancora oggi un monumento funebre ed una lapide ricorda il suo sacrificio.  

Successivamente quel suo amico, che incautamente lo aveva forse spinto ad arruolarsi, quasi per un senso di rimorso, si tolse la vita. 

(scheda tratta dal volume  “Trivento, Scritti Storici e Personaggi Memorabili” a cura di T. Farina) 

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Pubblicato il 6 Ottobre 2015

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